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          BOLLETTINO '900 - Discussioni / A, dicembre 2002             Successivo

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SOMMARIO:

- Apertura della discussione: gli Italian Studies
nel mondo
- Cristina Massaccesi
*Italian Studies in the UK.
Tendenze passate e prospettive future*

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L'articolo seguente, che prende spunto da un intervento
di David Forgacs al Joint Seminar dell'University College
di Londra (UCL) dedicato agli Italian Studies nel Regno
Unito (15 novembre 2002), e' l'introduzione a un dibattito
che "Bollettino '900" vuole aprire sullo stato e sulle
prospettive degli Italian Studies nel mondo.
Una prima serie di interventi sara' pubblicata nel primo
numero del 2003. Tutti coloro che intendono intervenire
sono pregati di inviarci il loro contributo entro il
15 maggio 2003.

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Cristina Massaccesi
*Italian Studies in the UK.
Tendenze passate e prospettive future*

E' ormai evidente che gli Italian Studies nel Regno Unito
stiano vivendo un momento di crisi e di ripensamento
globale. Le ragioni di questa difficolta' sono da
ricercarsi nella storia stessa di questa disciplina oltre
che nelle sue piu' recenti trasformazioni.
Ma cosa s'intende oggi per Italian Studies nel mondo
accademico anglosassone? Tracciare una veloce mappa del
presente potra' senz'altro essere utile per comprendere
la misura della crisi e le sue possibili soluzioni.
Al momento, lo studio dell'italiano nelle universita'
inglesi e' per lo piu' inserito nell'ambito dei programmi
delle facolta' di *Modern European Languages*, e' tuttavia
possibile, ma decisamente piu' raro, trovare alcuni
insegnamenti d'italiano nei dipartimenti di studi storici.
In generale non si tratta di dipartimenti molto grandi,
l'italiano ha, infatti, un numero di studenti decisamente
inferiore rispetto a quello di altre lingue europee
(francese, tedesco e spagnolo, in particolare).
Questo fatto e' in parte dovuto ad un generale calo delle
iscrizioni nelle facolta' linguistiche, un calo che e'
diretta conseguenza della recente non-obbligatorieta'
di studi linguistici a livello di GCSE, ovvero di *General
Certificate of Secondary Education*, l'esame che,
introdotto dall'*Education Reform Act* del 1988, chiude
i cinque anni di scuola secondaria obbligatoria.
Ma c'e' di piu': le facolta' di Modern Languages, e lo
studio delle lingue straniere in generale, vivono,
e questo accade ormai da qualche anno, una profonda
crisi di auto-definizione, una crisi che puo' di certo
rappresentare uno stimolo alla discussione ed al
confronto, rivelandosi in questo senso positiva, ma
che porta anche una grande confusione ed altrettanto
grandi dubbi sulla gestione delle risorse e degli
stessi studenti all'interno di queste facolta'.
Le ragioni di questa crisi sono complesse e
riconducibili a molti e diversi fattori. Quello che
sembra di poter evidenziare e' un diffuso orientamento
nordamericano da parte delle ultimissime generazioni
di scrittori ed intellettuali che non sembrano piu'
far parte (o piuttosto non voler far parte?), come ad
esempio accadeva per Spender o Isherwood, di un
sistema di pensiero europeo. Questa visione
"anglo-centrica" ed "anglo-fonica" del mondo fa si'
che si perdano di vista i valori ed i vantaggi legati
alla conoscenza di un'altra lingua che non vuol dire
semplicemente tradurre con altre parole gli stessi
concetti, ma piuttosto essere in grado di ampliare
la propria memoria e percezione della storia e
della realta'.
In linea di massima, oggi, per ottenere un BA
(*Bachelor of Arts*) in Italian Studies e' necessario
frequentare tre o piu' dei seguenti insegnamenti:
1. Studio pratico della lingua italiana, dal livello
iniziale a quello piu' avanzato;
2. Storia della lingua italiana e delle sue varianti
regionali;
3. Linguistica;
4. Letteratura, che viene generalmente studiata con
una buona copertura diacronica;
5. Media Studies, di solito si tratta di corsi di
cinema, ma in quest'ambito e' ormai possibile ed
anzi sempre piu' frequente trovare anche insegnamenti
dedicati alla televisione o alla musica;
6. Storia dell'Arte;
7. Storia Moderna e Scienze Politiche, materie oggi
in decisa crescita.

Rispetto a qualche anno fa, l'accento viene al momento
posto su tutti quegli studi che siano maggiormente
legati alla contemporaneita' o siano di piu' immediata
utilita' nel mondo del lavoro. E' da qui che deriva
una grande attenzione alle abilita' linguistiche ed
alle conoscenze teoriche specialmente nel campo dei
Media Studies, della letteratura contemporanea, della
storia moderna e delle scienze politiche.
In particolare, questi ultimi due insegnamenti hanno
molto a che fare con la storia stessa
dell'italianistica nel Regno Unito; fino al XVIII
secolo, infatti, gli studi di Modern Languages
rientravano nell'orbita delle facolta' di storia e
rispondevano essenzialmente a due esigenze: da un
lato al generale ripensamento, di matrice romantica,
del concetto di nazione e popolo, dall'altro al
bisogno, tutto pratico, di preparare diplomatici
e personale civile alla carriera estera.
E' solo negli anni venti del XIX secolo che
cominciano a nascere facolta' autonome di Modern
Languages che vengono nei primi tempi fortemente
ostacolate dai piu' conservatori dipartimenti di
studi classici che non sembrano accettare di buon
grado la nascita di facolta' di lingue moderne in
grado di offrire interi programmi di laurea.
A Londra nel 1827, grazie al costante impegno di
Sir Anthony Panizzi, un esule italiano che sara'
poi *Principal Librarian* al British Museum e
virtuale fondatore della British Library, nasce
la prima facolta' d'italiano presso l'University
College, un'iniziativa che verra' seguita nel
giro di qualche anno da analoghe istituzioni
ad Oxford e Cambridge. Inizialmente il modello
seguito e' quello, ormai lungamente collaudato,
dei dipartimenti di studi classici: grande
attenzione alla lingua scritta, studio della
letteratura rigidamente diviso in canoni, molta
storia ed in generale poco o nessun interesse
per la cultura viva e concreta dei popoli studiati.
Si dovra' aspettare fino alla Prima Guerra
Mondiale per un deciso cambiamento di rotta.
In effetti saranno proprio i primi, tragici,
cinquant'anni del XX secolo a contribuire
notevolmente allo svecchiamento degli studi
linguistici in Inghilterra. Le nuove esigenze
della societa' civile in tempo di guerra, ma
ancora di piu' dell'intelligence militare
costringono, infatti, alla ricerca di nuovo
personale che sia linguisticamente qualificato,
specialmente dal punto di vista pratico.
Un esempio lampante di queste rinnovate esigenze
e' l'esperienza dei servizi europei della BBC che
in Italia sono facilmente identificabili con
l'attivita' della famosissima Radio Londra. Durante
la Seconda Guerra Mondiale le trasmissioni di Radio
Londra, con le loro comunicazioni a volte
incomprensibili per i "non addetti ai lavori" e
la voce del Colonnello Stevens, ribattezzato
"Colonnello Buonasera" per il suo tipico modo
d'introdurre le trasmissioni, sono la migliore e
piu' efficace attivita' di propaganda per le forze
alleate. Tale e' poi l'identificazione dell'idea
degli Alleati liberatori con l'immagine idealizzata
dello speaker di Radio Londra che le truppe
americane si ritroveranno, al loro sbarco in
Sicilia, un'enorme scritta sul fianco di una
collina: "Viva il Colonnello Stevens". Sembra
quasi in questo caso che anche le competenze
linguistiche e la capacita' di una comunicazione
efficace possano aiutare a vincere una guerra.
Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, e con
in mano queste nuove consapevolezze, il sistema
dell'Higher Education inglese si avvia a subire
grandi cambiamenti. Lo spartiacque per queste
innovazioni sara' il cosiddetto *Robbins Report*,
uno studio commissionato dal governo sullo stato
dell'educazione superiore nel Regno Unito, che
nel 1963 mette in evidenza alcune sconcertanti
arretratezze. Viene infatti accertato che solo
l'8% della popolazione riesce ad avere accesso
alle universita', che non sono poi molto numerose
(solo ventiquattro) e che sono inoltre ancora
elitarie, classiste e per molti versi antiquate,
specie dal punto di vista degli insegnamenti che
sono ancora in numero molto ristretto.
Il Robbins Report spinge decisamente nella direzione
di un rinnovamento e di un ripensamento radicale
dell'Higher Education. Si cerca di ampliare il
numero degli studenti (dall'8% ad almeno il
17% della popolazione) e delle lauree di primo
grado e cominciano gradualmente a nascere nuove
universita' e nuove istituzioni, come i Politecnici
ad indirizzo vocazionale e le Open Universities,
che permettono anche ai lavoratori ed alle persone
con un curriculum scolastico non consueto di
accedere ad un livello di scolarizzazione
superiore, ma ancora, si badi bene, inferiore
rispetto alle lauree propriamente dette.
Contemporaneamente le istituzioni pre-esistenti
vengono invitate al cambiamento ed alla
ristrutturazione, soprattutto nel settore
disciplinare. Questo non vuol dire, tuttavia,
che le gerarchie scompaiano del tutto, sia a
livello nazionale, sia, nel caso qui discusso,
all'interno delle stesse facolta' di Modern
Languages. Queste gerarchie, che continuano a
favorire lo studio di lingue come il francese
od il tedesco, influiscono sulle reali possibilita'
ed occasioni di apprendimento degli studenti,
sul numero stesso dei discenti e sulle attivita'
di ricerca e d'insegnamento nel settore
dell'italianistica.
L'insegnamento dell'italiano a livello di Higher
Education, si trova dunque in questo momento a
dover affrontare consapevolmente un momento di
profonda crisi e di obbligata trasformazione;
il numero degli studenti, di per se' gia'
esiguo, continua a scendere in modo costante e
progressivo. Come si potrebbe uscire da questa
fase d'impasse? Da una parte si potrebbe pensare
d'avviare una serie di operazioni di salvataggio
che, orientativamente, fanno tutte capo allo
stesso principio dell'allargamento disciplinare.
Potrebbe infatti essere aumentato il numero dei
*combined degrees*, ovvero lo studio dell'italiano
affiancato a quello dell'inglese o dei Film
Studies o dei Media Studies oppure il numero
dei *vocational degrees*, con lo studio della
lingua e della letteratura italiane accompagnato
da studi finanziari o scientifici. Un'altra
operazione di salvataggio potrebbe essere l'utilizzo
dei dipartimenti d'italiano come strumento
d'appoggio per l'insegnamento linguistico
per altri dipartimenti.
Un'alternativa decisamente preferibile a queste
operazioni di salvataggio sarebbe, tuttavia, una
ristrutturazione creativa dei dipartimenti d'italiano
i cui corsi hanno, oggi piu' che mai, la necessita'
di risultare attraenti per gli studenti e coerenti da
un punto di vista storico e culturale. Il primo passo
necessario per questa auspicabile trasformazione sarebbe
dare agli studenti la possibilita' di poter scegliere,
in base ai propri interessi personali, il percorso di
studi a loro piu' affine. Questo potrebbe voler dire
inserire nei programmi di studio, sia a livello di
*undergraduate* (*BA*) che di *postgraduate degrees*
(*MA*, *Mphil* e *PhD*), nuove aree culturali, come
la musica, la memoria culturale della classe operaia,
la pop-culture, ecc. Specie poi a livello di *research
degrees* e' utile ed auspicabile cercare di ampliare
gli orizzonti della ricerca che deve essere pluralista
ed originale. Non piu' dunque, progetti di ricerca
conservatori e legati ai canoni classici delle discipline
universitarie, ma progetti il piu' possibile innovativi,
sia dal punto di vista contenutistico che metodologico.
Questa linea d'azione potrebbe imprimere agli Italian
Studies quella spinta che oggi manca e che e' da
considerarsi vitale per la sopravvivenza stessa
della disciplina.

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Discussini / A, dicembre 2002. Anno VIII, .

Direttore: Federico Pellizzi
Redazione: Michela Aveta, Eleonora Conti, Stefania
Filippi, Anna Frabetti, Valentina Gabusi, Saverio Voci.

Dipartimento di Italianistica
dell'Universita' di Bologna,
Via Zamboni 32, 40126 Bologna, Italy,
Fax +39 051 2098555; tel. +39 051 2098595/334294.
Reg. Trib. di Bologna n. 6436 del 19 aprile 1995.
ISSN 1124-1578

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